Table of Contents
Ines Cecchetto
“se me avessi detto che farei quello che ho fatto, non ti avrei creduto per niente.”
** This is a test exhibit for in class use only**
Credits
Published by : ITAL 3700
Estratto
Sessanta cinque anni fa, nel 1953, l’Università di Guelph non esisteva. Invece d’una università unita, c’erano tre collegi distinti: l’Ontario Veterinary College, l’Ontario Agriculture College e il MacDonald Institute (in cui economia domestica era insegnata). Il campus di quei giorni a malapena somigliava a quello di oggi quando Ines Cecchetto, una giovane donna di venti anni, ha cominciato a lavorare lí. Certamente nessuno all’università, se stessa inclusa, potrebbe indovinare che questo lavoro diventerebbe una carriera di sei decenni e mezzo.
Tuttavia, quando ha cominciato a lavorare alla università, il passaggio di Ines dall’Italia al Canada era già cominciato tre anni fa. Nata a Ventimiglia, una città ligure del nord-ovest d’Italia, era la maggiore di sette figli. Si ricorda bene la vita durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui il governo fascista di Mussolini si era stato schierato contro gli Alleati, e i soldati avevono bombardato il fronte fra Ventimiglia e Menton, in Francia. Ines stava già lavorando; faceva la bambinaia per una famiglia ricca, però dovuto all’insicurezza in questa parte del paese, la madre e le tre figlie erano andate a vivere con i nonni nella campagna veneta. Il padre era internato nella guerra, e non era ritornato fino al 1944. Ines parla delle difficoltà portate dalla guerra, e in questo periodo la famiglia mangiava una dieta di patate americane (patate dolci) e denti di leone bulite.
Ines si ricorda anche l’ultimo giorno della guerra, nel 1945. Ha visto l’uccisione di cinque combattenti partigiani dai soldati tedeschi – i partigiani credevono che i tedeschi fossero già partiti. La memoria di questa esperienza rimane con lei fino a oggi, illuminando gli effetti durevoli della guerra sulle memorie delle persone e le famiglie coinvolte. Dopo la guerra, la famiglia era senza lavoro e ha deciso di cominciare una nuova vita in Canada. Il padre era partito da solo per Halifax, in cui aveva un zio che era venuto in Canada prima della guerra. Dopo un anno di lavorare in una fattoria vicino a Halifax, un finanziatore ha datto $4,000 al padre per portare il resto della famiglia in Canada e riunirla con lui.
La famiglia era cresciuta a sette figli, con due gemelle di undici anni, quando erano patiti da Genova sul SS Conte Biancamano nel 1951. Dopo un viaggio di sette giorni sulla nave, la famiglia si era finalmente riunita con il padre a Halifax, però l’arrivo non era stato facile: Ines, all’età di 17 anni, si ricorda bene quando i funzionari hanno chiesto alla madre $400 per le due gemelle, anche se ha avuto solamente 47 dollari in tasca. Piangendo, ha detto ai funzionari: “mettevi la mano sulla coscienza!”, spiegando a loro che non aveva quasi niente da dargli. Vedendo che la madre piangeva, i funzionari hanno deciso di rinunciare alla parcella.
Subito, la famiglia si è resa conto che non avrebbe trovato lavoro a Halifax, e è partita sul treno alla campagna della regione di Guelph, piena di fattorie, affrontando un viaggio di cinque giorni. Dopo essersi stabilite lì, Ines e sua sorella di 13 anni hanno cominciato a lavorare al St. Joseph’s Hospital, seguendo il consiglio del parroco nel loro quartiere. La sorella Liliana ha dovuto fingere di avere 15 anni per potere lavorare legalmente. Le sorelle lavoravano nella mensa delle infermiere, guadagnando sessanta dollari al mese, che hanno usato per pagare i debiti della loro sponsorizzazione di venire in Canada. Non parlavano nemmeno una parola d’inglese, e perciò non potevono capire le istruzioni delle suore e dei supervisori. Ines si ricorda d’un momento in particolare, in cui le suore le chiamavano sempre “Mary”, perche non conoscevono il suoi nomi e non potevono comunicare con lei. Quando Ines è arrivata all’ospedale, aveva ricevuto le istruzioni di cominciare il lavoro alle sei della mattina. Senza un orologio, deveva svegliarsi ogni ora durante la notte, per controllare l’ora. Ines parla con serietà della sensazione di isolamento che senteva all’ospedale, dicendo che, per due settimane, non aveva visto nessuno che parlava sua lingua.
Mentre le sorelle lavoravano all’ospedale, il padre, che era falegname, costruiva una casa per la famiglia. Ines si ricorda bene il giorno di maggio del 1953, quando una dietista del MacDonald Institute a Guelph, il collegio dell’economia domestica, è venuta a casa per fare a ricerca di mercato. Colpita da suo livello abbastanza alto d’inglese, prontamente ha offerto a Ines un posto al collegio. Il posto era di servire a Creelman Hall, la mensa principali per i tre collegi, e uno dei centri della ristorazione dell’università fino a oggi. Lo stipendio al collegio era cento dollari al mese invece dei sessanta dell’ospedale, quindi ha accettato il posto e ha cominciato a lavorare subito.
Per lavorare al collegio a tempo pieno, si doveva essere cittadino canadese, quindi Ines si ricorda quando ha compilato i documenti per ottenere la sua cittadinanza. Quando ha mostrato i documenti ai capi del collegio, le hanno detto che non avrebbe stata mai un suddito britannico. Non capeva la parola “suddito” in inglese, però non era scoraggiata da questa esperienza. Ha gettato le basi per sua carriera straordinario all’università. E dice fino a oggi, “se me avessi detto che farei quello che ho fatto, non ti avrei creduto per niente”.
Trascizione
MB: Parliamo della vita in Italia, prima di venire in Canada…
IS: Sono nata a Ventimiglia, nel 1933; i miei genitori hanno immigrato da Veneto… siamo stati lí finche è venuta la guerra, il mio padre era internato, e siamo dovuti sfollarci perche quando è cominciata la guerra nel ’39, siamo dovuti partire da Ventimiglia perche il fronte tra Ventimiglia e Menton…
MB: In Francia…
IS: era distrutto…
MB: Si…
IS: … e siamo andati dei nonni, e siamo stati dei nonni fino alla dopoguerra. Quando che… nel ’45, quando la guerra era finita, allora mia mamma e papà avevono quattro figli, e papà era senza lavoro, e è andato lavorare in fattoria però non c’era – sichhé io, quand’ avevo del ’45, sono andata per fare la bambinaia dei signori, prendevo mille lire al mese, e papà è venuto in Canada, in cui aveva un zio vecchio che era venuto qui, ma lui è arrivato in Nova Scotia, che allora… del mezzo della farma, lavorare cosí, sicché è stato lí per un anno…
MB: Sí…
IS: … fino che, allora dal ’33 fino al ’50, sette figli sono nati…
MB: Sette figli!
IS: Sette figli! È stato …. sicché quando siamo arrivati qui, a parlare dell’immigrazione, siamo arrivati in – dov’è arrivato il bastimento?
MB: Halifax?
IS: Halifax, … sul Conte Biancamano, e siamo arrivati lí, e avevamo pagato in Italia, (in Castelfranco, da dove siamo partiti), abbiamo pagato per il viaggio, peró i bambini, chi avevono solo sei mesi – no, undici mesi – quando siamo arrivati a Halifax, ci volevono pagare quattro cento dollari per i due bambini (due cento dollari a l’una). E mia mamma si è messa piangere, ha detto: “mettetevi la mano sulla coscienza, c’è ho solo 47 dollari” quando siamo arrivati in Canada.
È sicché da lí siamo venuti a Guelph, quando siamo – eravamo in treno per tre giorni. Siamo arrivati qui, e siamo andati su una farma a cinque chilometri da qui, sicché mio padre è andato lavorare in farm- e io, chi avevo 17 anni, e Liliana, la seconda, chi ne aveva 13, eravamo portato a St. Joseph’s Hospital, e abbiamo cominciato a lavorare lí, sulla mensa delle nurses, e abbiamo cominciato qui…
Quando siamo arrivati in Canada – perche mio padre nessuno le davono i soldi, ha trovato uno che aveva la buona… you know… e c’è datto quattro mille dollari per pagare per il bastimento, e allora quand’arrivava la cecca [cheque], prendevo io sessanta dollari al mese, Liliana sessanta dollari al mese, per poter’ pagare i debiti quando siamo arrivati in Canada, dopo due anni.
MB: È com’ era la vita in Italia? Si ricorda la vita durante la guerra?
IS: No, well la vita in Ventimiglia mi ricordo bene, perche era un bellissimo posto, c’era lí la spiaggia, e papà lavorava su una – era falegname e lavorava sul -you know, lí, si andava c’era il mare, non era freddo, sai…
E dopo quando siamo andati in Veneto, dove avevamo dei nonni, una stanza, e lí, si era campagna, perche, you know, non c’era niente, la mamma e papà erano in guerra… poi dopo è venuto… [il padre ha fatto quaranta mesi in Jugoslavia], … e nel ’45, quando la guerra era finitia, proprio vicino alla casa nostra, hanno ammazzato cinque partigiani…
MB: Cinque partigiani…
IS: … cinque partigiani, che credevono che i tedeschi erano già partiti, erano ragazzi giovani, perche gli altri erano in guerra…
MB: È com’ era il viaggio sulla nave? Era difficile?
IS: No, io sono stata tanta bene, le bambine avevano undici mesi, e la nave è stata bella.
Mandato a lavorare lí, al ospedale, il sabado quando mi mandavano fuori, sono andata a lavorare per i signori che, prendere quattro dollari, $4.75 mi pegavano, con cui potevo comprare un po’ di donuts, sulla sera di quando che chiudevono gli stori [stores], perche al domenica non c’era niente aperto, non? E allora, andevamo lí prendere gli donuts, e cosí si faceva…
MB: Che cos’ha fatto tra quando è arrivata qui in Canada e quando ha cominciato a lavorare per l’università?
IS: Okay, quando che siamo arrivati qui, tra il parroco, e un gentleman , Mr. Ferraro, ci ha trovato lavoro sull’ospedale, e sono andata lí con la mia sorella, e il prete, il parroco ha detto “dì a tutti che la sorella ha quindici hanni, perche è contro la legge per lavorare”.
Siamo andate lavorare lí, si lavorava sei giorni alla settimana, e quando che ho cominciato lí, il gentlemen che m’aveva portato è andato alla casa, e ha detto “cosa faccio qui”, non? E c’erano le suore lí, e mi parlavano e non sapevo sicché e mi dicevono “Mary, Mary, Mary”, – “no”, ho detto, “non Mary, Ines!”
E allora, m’hanno portato dentro in una casetta piccola, dove che dormirei e c’erano alti genti, e hanno detto “domani, vieni lavorare alle sei”; credo che abbiano detto cosí, ma non avevono capace di spiegarmi. Allora m’ha fatto conto colla cosa, colla… che alle sei di mattina dovevo essere lí. E dove… proprio l’entrata dell’ospedale che era dove que io ero sulla casetta proprio in fianco, e ho cominciato dalle tre di mattina vedere che ora era, perche non avevo né orologio né niente, m’hanno portato in cucina giù, non c’era nessun alto italiano lí…
Per due settimane, non ho visto nessuno. Nessuno! Io e mia sorella. E poi dopo, come te dico, papà lavorava in fattorie, perche quando che mi papà – in Italia non avevamo soldi perche in Ventimiglia, la nostra casa è stata distrutta, perche la sera che ha dicharato guerra mi ricodo… ha detto che devono sfollarsi tutti, che abbiamo dovuto partire da Ventimiglia. Non volvevo partire, assolutamente, non volevo… volevo tornare in dietro.
IS: Non avevamo un soldo, perche al papá nessuno non ci volveva da’… e a l’ora, abbiamo pagato l’otto percento a l’ora del cinquant’uno per i quattro mille dollari. Papá è stato in Nova Scotia per un anno, e è dovuto stare lí per un anno,
MB: Per un anno, sí…
IS: E poi dopo quando è venuto qui, siamo arrivati noi, era proprio un anno giusto, perche in Italia nessuno aveva dei soldi, e lui è venuto qui, e ci hanno datto soldi, e in due o tre anni abbiamo pagato tutto…
IS: Quando mi sono sposata nel 1956, avevamo ancora plaster sulla casa! But we never ever owed anybody any money. Mi ricordo che, quando era natale, io e Liliana ci siamo andate in città e siamo andate per comprare una bambola per le gemelle, per le bambine, mie sorelle, e mia madre ci ha sgridato perche aspettava qui soldi per pagare i debiti.
MB: Certo.
IS: E dopo, ero-lavoravo all’ospedale, a l’ora c’erano tanti ragazzi qui, you know? Specialmente dalle nostre parte di Veneto, erano tutti a Guelph. Più che a Toronto.
MB: E come ha trovato il posto all’università?
IS: Era Maggio, sono stata all’ospedale fino dicembre, pero poi dopo in maggio, è venuta questa signora, dell’universitá, che andavano per le case, facevano, they were taking, they were finding out what do you use in this and that, you know, è venuta questa dietician, era una siciliana chi parlava italiano, faceva come interpreter non? E questa signora me ha detto “you speak English not too bad. Ti piacerebbe venir’ lavorare per noi, all’universitá?”
Il giorno dopo, m’hanno chiamata, e hanno detto “vieni, cominci a lavorare”, che c’è un gruppo di Women Institute, I remember, e ha detto vieni, vieni dentro alle undici.
E quando se me andata in casa, dopo il primo giorno al collegio, ho detto a mia mamma, “I’m got gonna stay there, sono tutte vecchie!” Ma allora m’avevano detto che avrei preso cento dollari al mese invece di sessanta…
MB: Invece di sessanta, si…
IS: Allora è stata quasi doppia, non? Ma, per venire qui, dopo un anno o due, tre quattro, you had to be a full-time. In order to be a full-time, you had to be a Canadian citizen. So sono andata predere la Canadian Citizen Paper, e mi ricorderò sempre quando sono venuta, ho detto, “I’m a Canadian now”, e mi hanno detto, “you will never be a British subject”.
MB: Wow…
IS: That’s the welcome. I didn’t know what “subject” meant.
Galleria di foto
Estratto II
Nel 1953, Creelman Hall era il solo ristorante per i tre collegi di Guelph: l’Ontario Veterinary College, l’Ontario Agriculture College e il Mcdonald Institute. C’erano solamente mille studenti sul campus, però la ristorazione era già molto occupata quando Ines ha cominciato. A questo tempo, la famiglia di Ines lavorava duramente per costruire una vita affermata in un nuovo paese, e l’offerta di cento dollari al mese dal Mcdonald Institute avrebbe stata una buona opportunità. Quando ha cominciato, aveva imparato un po’ d’inglese, e poteva comunicare con le altre donne che lavoravano a Creelman. Si ricorda quando è tornata a casa dopo il primo giorno al posto, e ha detto a sua madre: “non voglio lavorare lì, [le altre donne] sono tutte vecchie!” Questa memoria le fa sorridere, e butta fuori una risata quando me parla di questi primi giorni a Creelman.
Un’altra memoria che rimane con Ines fino a oggi e della sua prima promozione. Dopo alcuni anni (dieci o dodici), il direttore di Hospitality Services ha deciso di promuoverla al posto di supervisore. Questa decisione è avvenuta in maniera inaspettata a Ines, che non aveva mai creduto, come immigrante italiana, che sarebbe stata scelta per questo posto. All’inizio, non avrebbe creduto che aveva avuto la capacità di dirigere il personale. Si ricorda le parole del direttore, che l’aveva detto: “non mi hai mai trattato diversamente dovuto alla mia nazionalità tedesca, quindi sarai perfetta per questo posto”. Questa mancanza di pregiudizio sarebbe diventata una qualità distintiva della sua carriera. Comunque, questa cortesia non era sempre ricambiata a lei: si ricorde anche le parole d’un altra lavoratore all’università, che aveva detto: “just what we need: a boat full of WOPs taking over the country”. Ines fa una pausa di riflessione dopo aver raccontato questa storia.
Durante gli anni seguenti, Ines lavorava in tante posizioni alla nuova università, cominciando a Creelman e lavorando anche al Mcdonald Institute, al centro atletico e finalmente al Whippletree, il ristorante nel centro universitario. Ha avuto la opportunità di lavorare con tanti presidenti, dal primo presidente John McLachlan, e poi William Winegard, Donald Forster e i presidenti più recenti. Si ricorda che negli anni Sessanta e Settanta, portava un pasto alla residenza del presidente, e aveva sviluppato un rapporto stretto con questi presidenti. Con il suo gruppo dei Servizi Dell’Accoglienza, Ines aveva anche il compito di organizzare la ristorazione agli eventi per i studenti, compresi dei banchetti nei studentati e dei balli in cui le studentesse del Mcdonald Institute avrebbero potuto socializzare con i studenti dei due altri collegi. Ines ride, dicendo che i studi al Mcdonald Institute erano affettuosamente chiamati “the wedding ring class”, perche le ragazze lì avevano cercato un marito dei collegi veterinario e agricoltura. Inoltre, Ines organizzava la ristorazione per tante conferenze, che erano spesso ospitate nel Centro Atletico. Si ricorda che pianificava i menù per un mille di ospiti, servendo mille piatti di insalata sulla pista di ghiaccio nel Centro Atletico. Gli illusti ospiti erano sempre colpiti dalla qualità del servizio, e la reputazione della ristorazione all’università stava crescendo – una reputazione che rimane fino a oggi.
Dovuto a la sua reputazione per il servizio eccellente, il direttore dei Servizi Dell’Accoglienza, a quel tempo un uomo chiamato Mr. Mann, ha fatto la decisione di promuoverla al posto di Direttore di Attività nel 1973. Questa transizione era difficilissima per Ines, perche la ristorazione dell’università era in un punto di transizione se stessa. Versafood, la azienda che aveva procurato il cibo per l’università, era sostituita con un reparto interno, e Ines aveva avuto il compito di far funzionare questo nuovo reparto (University of Guelph Food Services). Si ricorda che aveva detto a Mann che le aveva datto una sfida impossible, peró le ha sempre incoraggiato. Lavorando con un contabile, Ines ha pianificato tutti i menù per tutta la ristorazione all’università, che stava rapidamente crescendo. Si ricorda i suoi primi giorni nel posto di Direttore dell’Attività, in cui cominciava la giornata alle sette della mattina, e non finiva fino alle undici della sera. Me dice con un sorriso che nonostante che non è andata mai alla scuola in Canada, era sempre brava nell’aritmetica, un talento molto utile nella pianificazione dei menù. Lavorava diligentemente per valutari tutti i costi, per assicurarsi che i profitti erano giusti. Nonostante la difficoltà di questo periodo, Ines dice che l’aveva gestito senza problemi, un giorno alla volta.
Parlando della sua lunghissima carriera all’università, Ines me dice che aveva sempre un motto che le aiuta di fare decisioni difficili: si chiede “se questo posto era il mio, che farei? Se si fa uno sbaglio, si impara. Però si deve fare una decisione.” Aveva il compito di assumere tantissime persone, e anche di licenziare alcuni. Me dice che è stata sempre amichevole con tutto il personale sulla sua direzione, però ammette che è sempre schietta, dicendo ciò che pensa. Queste qualità le ha valso il rispetto di tutti i nel corso dei suoi sei e mezzo decenni all’università, e adesso è una parte integrante della communità universitaria. Riflettendo sulla carriera, me ha detto che è difficile di spiegare alla gente che sta ancora lavorando all’università dopo quasi sessantacinque anni. Ridendo, dice “credono che sono pazza! Non sei d’accordo?”
Trascrizione II
IS: Dopo due o tre anni che abbiamo lavorato all’ospedale, ho cominciato a dire a mamma che volevo andare a lavorare su un alto posto, perche avevo diciotto/dicianove anni, venti anni, e mi piaceva andare fuori qualche volta, e sono andata a lavorare su una piccola azienda in una fattoria, e poi dopo è venuta questa signora che faceva… come si chiamava?…
MB: Market research?
IS: Market research, e mi ha detto “parli bene l’inglese”, dice “vuoi venire lavorare con noi?” e io ho detto “sì”, forse non sapevo cosa dire, e il giorno dopo mi hanno chiamata, e hanno detto che aveva un posto per me, e così ho lasciato l’altro posto che lavoravo, ero solo lì per un paio di settimane, e sono andata a lavorare con loro.
IS: L’università non c’era; c’erano i tre collegi, l’agricultura, il veterinario, e Mcdonald. Sicché sono andata a lavorare lì, e sono ancora qui adesso.
MB: Sì! E come era la prima esperienza qui?
IS: La prima esperienza quando che.. sono andata lì… la signora che m’aveva datto la posizione era gentile, però le altre erano tutte canadesi, eravamo solo i sette, sulla shift [seven servers at Creelman], e io non parlavo l’inglese, you know, and l’ho trovato dura, perche pensavano che gli immigranti che venevono avrebbero portato via lavoro che loro avevono.
MB: Sì, e quella è la ragione che la donna ha fatto il commento del “boat load of WOPs”…
IS: Yeah, yeah… poi dopo, una persona mi ha chiesto se volevo far’ la supervisor, però il ero la unica straniera, e [una donna che lavorava lì] me ha detto “just what we need! A boat full of WOPs coming in and taking over the country”. I’ll never forget that. You know, and, la lingua inglese, l’ho trovato difficilissima, perche certe cose che… trovo che la grammatica che abbiamo noi e completamente differente perche, quando dice una cosa sulla nostra lingua, in inglese è differente. Tutti qui ti danno del tu. You say “you” to everybody. And you can say “tu” [to a friend] ma al profesore si deve dire “Lei”. And everything changes. So, you know what I mean?
MB: Credo che l’inglese sarebbe una lingua difficile di imparare.
IS: Oh sì, sì…
MB: La grammatica, non è come l’italiano, in English there are so many exceptions…
IS: Sì, l’ho trovato molto difficile, e certe cose che si dicono, non potevo capire…
IS: Nessuno può sapere quando che siamo arrivati dall’Italia… piangevo tante volte, quando eramo sul treno dicevo: “portami in dietro in Italia”, adesso invece, se un straniero arriva qui c’e tante meno difficoltà che abbiamo trovato noi.
MB: E dopo quanto tempo di lavorare all’università eri promossa al supervisor?
IS: Forse dieci, dodici anni, ma quando hanno cominciato a aprire delle altre cose [other restaurants on campus], ho lavorato sul Creelman al inizio, e dopo sono andata al supervisor su Mcdonald, e dopo sono andata al supervisor sul athletic building, e c’era un building lì, e dopo sono andata a Mcdonald, e dopo sono venuta qui [UC food court]. Ma sono diventata ‘manager of operations’ nel ’73. Mr. Mann era il direttore, e io ero the manager of operations for all the units.
MB: Il presidente era Forster?
IS: Il presidente era Forster, quando ho cominciato, quando la università era fondata c’era McLachlan, e poi c’era Winegard, e dopo Winegard è venuto Forster. È stato qui per otto anni. E poi Matthews…
MB: E nel ’73 era Forster che era il presidente?
IS: Yeah, yeah. Ma quando sono venuta qui, di dietro del clock…
MB: Johnston, sì…
IS: Di dietro lì c’era erba, e dove che c’e the new football field, they didn’t have that, that was all away, that was all nothing there!
MB: Yeah, big new field!
IS: And I used to – I had the car, but I didn’t take the car, because I said “it’s too much trouble”, I took the bus, you know, there was one bus going around, but, when I look back, it’s funny, I can talk to you and then it comes to my mind, but you can rest assured that there was myself and there was another lady that was from Slovenia, and we were outcast, we were never included in anything, you know, never.
MB: In the earlier years?
IS: Yeah. At the Athletic building, they used to have big groups come in, and we had to make salad plates, and they had ice in the arena, and we would make two thousand plates, salad plates for the people that were coming in, because there was these huge people who were coming to Guelph at the time, and it was so condensed in that specific place, now they’re all over the place! At one time we only had Creelman, and if any convention came from anywhere in Canada, there was no place for them to go. So that’s what we did. Many times we came in at two o’clock in the morning, They had the dances – there was the Mac Institute, which was a class that they used to call the “wedding ring class”. They came in from the farm, the girls, you know, and they had a one year course, they learned how to put the peaches, the pears away, you know, and then meanwhile they found themselves a boyfriend, because there was the OAC, the veterinarian, and the Mac Institute girls.
MB: Are there any events that stand out from when you were Manager of Operations?
IS: When I became the supervisor, I was really scared because I couldn’t write English, I couldn’t speak either – when we used to have the union before 1973, there was Versafood from Hamilton, and the union was connected with McMaster University union. So the people that were here, the old people they all went, and there was another lady who was supervisor, Mary Prior, and Mr. Mann came with Versafood but the university made him Director of Food Services and they come up with University of Guelph Food Services. And so the union got kicked out. [The University of Guelph set up an internal food service unit, taking over from an external provider (Versafood)]. Then, I remember I said “Mr. Mann, you’re giving me the impossible”, and he said “no Ines, I’ll be with you all 100%”, he was a little bit of a bluffer! But I got support from him, but I wouldn’t be able to ask his opinion on something because he was completely away from where the operation was.
I’ll never forget, there was the accountant from Pirelli, and he says “Ines, you tell me what we pay for things, and I will give you the figure”. And he would come to my house, and we would make the menus. And I was here seven days a week, from six in the morning to eleven o’clock at night, and we did that all you know, to assign all the – you figure out how much it costs, you say the food costs should be about 30, 33%, the other things some of them are 40, depends what it is. 30% should be profit. You know, I didn’t know I was gonna make it. I remember, we used to-we were in that building there, that yellow building in there, that was my office [pointing to present day Day Hall], and…
MB: Yeah, I don’t know what that building is for now…
IS: That was when I really found it hard, you know, but then I took it in stride, and I never let it bother me, you know, and there is one motto that I have, for all of my life: if this was my place, if I have to make a decision, what would I do? And that’s how I treat it. If you make a mistake, then you learn from it. But you have to make a decision. And I found it very hard to deal with the people, but I was always very frank with them; I told them what I thought, you know? I couldn’t stand anybody putting up a front, I says “you know, you’re a nice person, you’re a good person but you talk too much”. I told them what I thought. And once I was the office, I says “now when you go out of here, we shake hand and forget I said it, and now all I want you to do is what I told you”. And they come back and said “you were right, Ines”. To me, it’s – how can you explain to anyone that you did this job for sixty two years? They think I’m crazy! Don’t you?
MB: Ha, well you must like coming in and seeing everybody!
IS: Yeah, but it’s nothing now…
IS: Come te dico Matthew, I fired a lot of people, and nobody ever took me up. You have to treat people – I’m friendly with everybody.
Galleria di Foto II
Estratto III
Nel University Club sul quinto piano del centro universitario, parlo con Ines della communità italiana di Guelph, e come la communità italiana si è trasformata da quando era arrivata all’inizio degli anni cinquanta fino a oggi. Quando è arrivata nel 1951 con sua madre e suoi sei fratelli, la communità italiana era ancora piccola. C’era una manciata di famiglie italiane che erano venute prima della guerra, però queste famiglie si erano integrate rapidamente nella società canadese di Guelph. Me dice che c’erano solamente cinque o sei famiglie del nord d’Italia quando è arrivata lei, però ci sarà stato un afflusso di immigranti italiani durante i decenni a venire.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, Ines si ricorda dell’afflusso di italiani a Guelph, dicendo che ci sono stati cento ragazzi che erano venuti alla città alla ricerca di una vita più prosperosa. In confronto alla grande industria dell’edilizia a Toronto, in cui gli immigranti italiani hanno costruito la metropolitana, Guelph non aveva tanti lavori. C’erano una manciata di imprese, come Pirelli e Malleable Iron, però la communità italiana era sempre più piccola di quella di Toronto. Ines parla delle esperienze del suo padre quando aveva cominciato a lavorare a Guelph, dicendo che lavorava con impegno nei giorni prima delle leggi sulla retribuzione oraria. Dice che nonostante la difficoltà della vita per gli nuovi immigranti in Canada, questi uomini non volevono mai tornarsi in Italia, in cui la economia era distrutta dalla guerra. La tenacia degli nuovi immigranti gli hanno aiutato di perseverare a metà dei tempi difficili e creare una vita meglia in questo nuovo paese.
Un tema che emerge durante la nostra discussione sulla communità italiana a Guelph è la divisione tra la gente del nord e del sud d’Italia. Ines me dice che i trevisani, come la sua famiglia, si sono stabiliti su Elizabeth Street, vicino alla chiesa di Sacred Heart. D’altra parte, le famiglie del sud, sopratutto siciliane e abruzzesi, si sono stabiliti nel quartiere di Oliver Street e Manitoba Street, e erano due communità molto distinte. Ines parla del pregiudizio che veniva qualche volta di questa divisione tra le famiglie meridionali e le famiglie settentrionali, dicendo che i figli erano scoraggiati di sposarsi con qualcuno dell’altra parte d’Italia. Adesso, me dice che la situazione è cambiata molto, e le communità sono molto più aperte.
Ines si ricorda la cresenza della communità da cinque o sei famiglie a una communità vivace con più di cento nuove famiglie che erano venute per gradi dopo la fine della guerra. Per alloggiare tutti questi ragazzi che venivano dall’Italia, c’erano delle persone nella communità che accettavano dei pensionanti: Ines si ricorda che c’era una donna con tredici giovani pensionanti che erano venuti per lavorare. C’era un gruppo di famiglie che sono diventate amiche, e andavano spesso alle scampagnate con la communità italiana, e andavano anche alla chiesa ogni settimana. Parlo con Ines del Italian Canadian Club, e la chiedo si era mai coinvolta con quell’organizzazione. Me ha detto che all’inizio, era molto coinvolta, però negli anni più recenti la communità è diventata troppo grande, e non c’è più il stesso senso di communità.
Sopratutto, Ines parla con positività delle sue esperienze nella communità italiana di Guelph. Lo direi delle sue riflessioni che questa piccola communità italiana aveva avuto un ruolo molto importate per gli nuovi immigranti di addatarsi alla vita in Canada. Me dice che “Canada era sempre buona con me”, e è chiaro che era sempre grata per le opportunità che Canada l’aveva offerto. La storia di Ines è una storia di duro lavoro, perseveranza, e della speranza in creare una buona vita negli anni difficili dopo la guerra. Me racconta una lezione importante da queste esperienze, dicendo che l’empatia è una qualità molto importante nella vita. Me dice che quando deve fare una decisione importante, nella carriera e anche nella vita, sempre prova a mettersi nei panni di qualcuno. Si chiede: “se fosse io, che farei?”
Trascrizione III
MB: Parliamo della communità italiana di Guelph. Conosceva tante persone lì?
IS: Quando siamo arrivati noi, c’erano cinque o sei famiglie, avevamo – nella nostra famiglia avevamo tanti ragazzi, nella casa mia c’era io, Liliana e Bianca, e i ragazzi venevono alla casa nostra, perche a l’ora c’è – quando siamo arrivati noi c’era solo cinque o sei famiglie dal north Italy. Ma sarà arrivato qui a Guelph ci sarà stati venti cinque o trenta ragazzi, di diciotto anni qui sono venuti dall’Italia. E quelli adesso ci hanno tutti la famiglia. Ma quando siamo arrivati noi ci sarà stato a Guelph quindici o venti famiglie italiane. Tutti assieme. Non più. Non più di quindici o venti famiglie.
MB: E quando aveva la sua propria famiglie, i suoi vicini erano italiani? Gli conosceva?
IS: Oh yes, we went to church, we had the Italian picnic – when we arrived here, there was no distinction between two people. The young people that arrive here, because nobody come in here, I would say, and don’t quote me on it, but I don’t think that there was any more than twenty families, Italian, both the north and the south, I would say twenty families that came here before the war.
MB: Ah, that came – che erano già venute.
IS: But in Guelph, right after, between the 60s and the 70s, they might have come about a hundred people, just young men coming from Italy at that time. In ten years, I would say. But then they came, there was no family but these people, the one that came by themselves they all stayed here, and that’s where everybody is now in Guelph. They all came after the war. I’m sure that the people who came before the war, they’re all dead, and the children of those people are not Italian any more because they probably marry – because there was no Italian then. And when we arrived, the people from before the war they were already married, and the old people were gone. So, I think if you look to Toronto – Toronto’s different because a lot of people that came to Guelph, there was not much work in Guelph. In Toronto – there was no construction in Guelph, none. Just a few. There was Pirelli, and there was the Malleable Iron, and another couple of places. They had the tobacco plant – I wasn’t even here then. But in Toronto, you know, when the sindaco dell’Italia è venuto qui, in Canada, il sindaco di Toronto ha detto: gli italiani della dopoguerra sono venuti a costruire tutta la sottoterra, because they didn’t have the subway underneath the ground. Gli italiani hanno tutti scavato la sottoterra, quando sono arrivati, e adesso, dal dopoguerra a adesso, they own Toronto! [Ridendo].
MB: Yeah! Woodbridge…
IS: They were, e hanno fatto, a l’ora c’era a mano, i poveri uomini che lavoravano lì, e tanti lavoravano sette giorni [alla settimana], dodici ora al giorno, perche non c’era nessuna… come si dice che… che lavorassaro quaranta ore, non – più che fai, più che lavori, gli davano – mio papà lavorava a contratto, prendeva novanta ora, lavorava come un animale, prendeva una bella paghetta, ma… a Toronto adesso, quando la gente arrivava, poi dopo tanti sono tornati in dietro in Italia, you know, ma dopo sono ritornati qui perche una volta che sei venuto qui, non vuoi più in Italia perche l’Italia è povera, gran povera.
MB: Did people, did – durante la dopoguerra, sono venuti al stesso paraggio? The same neighborhood?
IS: Yeah, oh yes!
MB: Did they stick together a lot?
IS: No, beh adesso no… in principio, quando siamo arrivati noi, c’era il Sacred Heart. Su Elizabeth Street, lì c’erano i trevisani, e dell’altra parte, Oliver Street, Manitoba Street, York Road, quelli erano tutti abruzzesi o siciliani. Eravamo completamente differente. E adesso, vado della [hairdresser però non ho capito la parola in italiano] e lei è siciliana, e si è sposata con un trevisano che io lo conoscevo bene, e il nonno [della parruchiere] aveva detto “non potevi sposare un trevisano”. I trevisani erano più aperti. You know, ma quelli dal sud, non. “Uomini e buoi dal paesi suoi”. Ma adesso tutto e differente.
Ma i primi dieci o quindici anni, come dico, la gioventù, sono arrivati [ragazzi] di diciotto, dicianove anni, belli ragazzi, you know, bella gente, erano tutti a bordo, c’era tanta gente, c’era una donna che aveva tredici boranti nella casa sua. Tredici ragazzi. Gli dava da mangiare, e mangiavano come maiali, era brava far da mangiare, sai, e quando ci siamo sposati c’erano cinque o sei donne, a l’ora facevono da mangiare, e avevamo i Knights of Columbus, e andavamo ai picnic. Quando siamo arrivati noi, erano proprio quelli che erano presi per il collo, sai? Erano penato nati nella guerra, la gioventù – you know, i uomini che erano lì, quelli che venevono qui mandavano i soldi perche non c’era niente lì, non? E c’era – there was a good – not now, now it’s the same as everything else, you know – but, the communità italiana, a Toronto c’è – avevo due o tre cugini, erano a Toronto e non sarebbero mai stati qui in Guelph perche loro dicevono che non c’era tanto lavoro, e lì prendevono tanti soldi. Perche, you know, come ha detto il sindaco, sono venuti qui, hanno costruito Toronto, e adesso they own Toronto.